sabato 5 marzo 2016

Il caso Walter Marino Rizzi

INCONTRI RAVVICINATI

Siamo a conoscenza di molti presunti incontri ravvicinati, ma normalmente in TV, in rete e sulle riviste ufologiche si parla solo dei casi avvenuti all'estero, specialmente negli Stati Uniti. Tuttavia anche in Italia abbiamo un certo numero di testimonianze rilevanti, alcune anche molto dettagliate.
Una di queste avvenne in provincia di Trento nel 1968. 

Era la notte del 6 luglio 1968 e Walter Marino Rizzi, che abitava a Bolzano, decise di staccare un po' dal lavoro frenetico del rappresentate per passare qualche giorno nel tranquillo paesino di Campitello di Fassa, dove avrebbe alloggiato presso una sua zia che gestiva un hotel.
Aveva staccato dal lavoro già piuttosto tardi, ma nonostante questo era abituato a viaggiare nelle ore notturne. A bordo della propria auto stava percorrendo il Passo Gardena, sulle Dolomiti. All'improvviso si imbattè in densi banchi di nebbia, che lo costrinsero a rallentare di molto la velocità.
Era da poco passata la mezzanotte e la visuale era pressochè nulla, cosa piuttosto insolita per la stagione, ma parliamo pur sempre di zone montane dove può condensarsi un po' di foschia.

Indeciso sul da farsi scorse un piccolo piazzale dove spesso i camion sostano per la notte e decise di fermarsi una mezzoretta nella speranza che la nebbia iniziasse a diradarsi.
Era molto stanco e nonostante l'attesa le condizioni non accennavano a cambiare, così distese le gambe e ne approfittò per riposare un po'. Poco dopo essersi addormentato, però, fu costretto a svegliarsi a causa di un forte odore di bruciato.
Il piazzale era ancora immerso nella nebbia e, temendo che l'odore provenisse da qualche circuito della sua auto, scese per dare un'occhiata al motore. Era intontito ancora dal sonno, ma non potè non rendersi conto che in fondo al piazzale c'era qualcosa di strano, che emetteva un potente bagliore luminoso attraverso uno squarcio della coltre di nebbia.
Rizzi era certo che quando aveva deciso di fermarsi quella luce non c'era, ma la nebbia non gliene dava la certezza, così, credendo che si trattasse di un autogrill non segnalato dai cartelli si avvicinò per andare a bere qualcosa di caldo.
Giunto in prossimità della luce constatò, allibito, che proveniva da un enorme oggetto discoidale, immerso in una specie di luce lattiginosa: la strana macchina poggiava su tre sostegni e misurava circa sui 30m di diametro.



<<Arrivato ad una cinquantina di metri da quella cosa, notai che sul lato destro c'era un robot cilindrico alto più di due metri, con tre gambe e quattro braccia, che ruotava su se stesso come se stesse riparando un guasto. Sembrava fatto di alluminio, ma a volte pareva cambiare colore e diventare quasi trasparente. Arrivato vicino a quel grosso disco volante mi sembrò che fosse circondato da un "muro di luce" e mi sentii di colpo bloccato, come se il mio corpo pesasse mille chili. Ero incapace di muovermi e facevo molta fatica a respirare, ma ebbi la conferma che l'odore di bruciato proveniva da lì. C'era una cupola di vetro sulla sommità del disco e vidi due esseri che guardavano giù...>>


Ad un certo punto si aprì una botola nella parte inferiore dell'UFO e da un'intensa densa luce viola emerse una strana figura vestita di un casco di vetro e di una aderente tuta argentea, provvista di una vistosa cintura posta in corrispondenza della vita. Si muoveva con lunghi passi, sfiorando appena il terreno.


<<Era alto poco circa un metro e sessanta e quando mi fu vicino alzò la mano destra e mi guardò fisso negli occhi. Aveva i capelli cortissimi di colore castano chiaro, i suoi occhi erano più grandi dei nostri, leggermente obliqui, come quelli di un gatto, con la parte bianca color nocciola, l'iride azzurro-verde e le pupille ovali, che si contraevano continuamente. Il naso era molto piccolo e ricordava quello dei felini. Le sue labbra erano sottilissime e quando sorrise vidi che aveva dei denti bianchi e regolari. La pelle era color verde oliva chiaro, i piedi sembravano più simili a degli zoccoli e le mani mi parevano sottili e lunghe.>>


Se ad un primo sguardo l'uomo ebbe un certo timore, con il passare dei secondi quello sconosciuto gli trasmise una sensazione di improvvisa tranquillità e felicità.


<<Mi sentivo leggero come una piuma: non trovo le parole adatte per descrivere lo stato d'animo che avevo, ma era una sensazione celestiale che mi spingeva ad abbracciarlo. Volevo chiedergli da dove venisse, cosa ci facesse lì, ma non ebbi neanche il tempo di formulare la domanda, che già nel mio cervello ebbi la risposta. E' così che si svolse tutta la nostra comunicazione: lui mi leggeva nel pensiero e mi dava all'istante le risposte.>>


Da quel momento l'alieno cominciò a spiegare a Rizzi che proveniva da un pianeta della nostra galassia, ma grande quasi due volte il nostro e provvisto di due soli, uno più grande ed uno più piccolo, che determinavano un lungo giorno e una notte brevissima. Il suo mondo possedeva un panorama di sconfinata bellezza con montagne altissime e vegetazione lussureggiante.
Poi descrisse la sua avanzatissima società, basata su rapporti collettivi armonici, indole vegetariana e non violenta degli abitanti, vita molto più lunga della nostra e totale assenza di malattie. In particolare, affermò che la longevità, sul proprio pianeta, era assicurata da una tecnologia in grado di "rigenerare continuamente e potenziare le cellule dell'organismo", per cui la morte sopraggiungerebbe nel soggetto solo con il totale esaurimento del ciclo energetico interno.
Gli spiegò che a differenza degli esseri umani loro avevano un organismo molto semplice, con un apparato digerente molto più semplificato del nostro, ma un cuore e polmoni alquanto sviluppati per una maggiore immissione d'aria per la nutrizione di sangue e cervello. Un ultimo dettaglio che gli spiegò fu che non avevano una distinzione marcata del sesso come gli umani perchè la loro riproduzione non avveniva con l'accoppiamento
.

<<Ogni tanto osservavo il disco per capire come era costituito: non c'erano saldature, bulloni o giunture: sembrava scolpito come un sol pezzo. La creatura mi disse che era composto di un materiale mille volte più resistente del nostro acciaio e che aveva la proprietà di auto-saldarsi automaticamente
>>.

L'alieno parlò a Rizzi anche dei loro veicoli madre, vere e proprie portaerei siderali che coprono le distanze interstellari. Sfruttano un'energia propulsiva derivante "dai sistemi solari e dai campi di attrazione e repulsione dei pianeti", una fonte di "inesauribile e terrificante potenza", con la quale l'avanzatissima
tecnologia viaggia a velocità ben superiori alle nostre.

<<Eliminano le distanze all'istante, trasferendo la materia, e quindi loro stessi, compresi i loro mezzi. Il solo pericolo per questi grandi dischi sono dei pianeti la cui attrazione magnetica è spaventosa anche a grandi distanze. La compattezza di questi pianeti è tale che un solo metro cubo di esso pesa più del nostro sistema solare.>>


Se fino ad ora tutto il racconto potrebbe sembrare un'abile macchinazione inventata da una mente fantasiosa, con questa ultima affermazione di Walter Rizzi alcuni studiosi del fenomeno hanno rizzato "le antenne": il pensiero corre ai famosi buchi neri, corpi astrali dalle caratteristiche
simili a quelle descritte da Rizzi; tuttavia c'è da dire che i buchi neri furono per la prima volta scoperti nel 1971, vale a dire ben tre anni più tardi l'incontro ravvicinato del Rizzi!

L'essere alieno non mancò neppure di un'inquietante previsione sul futuro del pianeta Terra:

<<Gli chiesi perché non ci facessero partecipi delle loro conoscenze tecnologiche e perché non rimanessero con noi per un certo tempo. Mi disse che era proibito loro interferire con l'evoluzione di un altro pianeta, che trascorrere del tempo nel nostro sistema solare li avrebbe fatti invecchiare precocemente, e infine che non avremmo mai raggiunto il loro stadio evolutivo, per via della precarietà della crosta terrestre: in un prossimo futuro avverrà uno spostamento dei poli e questo produrrà una vasta apertura nella crosta terrestre, provocando cataclismi che distruggeranno l'ottanta per cento della popolazione mondiale, lasciando solo una stretta striscia di terra inabitabile per i superstiti.>>


Durante questa lunga chiacchierata il robot terminò il proprio lavoro e si avvicinò alla botola rimpicciolendos
i della metà. Rizzi avvertì che l'incontro stava volgendo al termine.
 

<<Venni preso dalla disperazione pensando che non l'avrei più rivisto. Gli chiesi, lo supplicai di prendermi con loro, ma mi disse che non era possibile: il mio organismo non avrebbe sopportato le loro velocità astrali e le energie sfruttate dalla loro tecnologia. Piangendo lo pregai di darmi qualcosa di lui. Mi fissò e allungò il suo braccio destro verso la mia spalla sinistra, e mi sentii sollevare da terra come una piuma...>>

L'alieno poi indietreggiò lentamente e, alzando il braccio destro in segno di saluto, si portò al centro del disco, ponendosi di fianco al robot e scomparendo in un fascio di intensissima luce.

 

<<In quell'istante una forza invisibile mi sospinse lontano dal disco. La luce bianchissima che avvolgeva il disco cominciò ad affievolirsi e i sostegni rientrarono. Il rotore iniziò a girare vorticosamente e la luce cominciò a divenire sempre più intensa. Giunto ad un altezza, credo, di trecento metri, l'alone che circondava l'oggetto divenne bianchissimo e come una schioppettata partì a grande velocità nord-est>>.
 

Brancolando Rizzi tornò alla sua auto, pizzicandosi più volte come per accertarsi che non avesse sognato. Fece più sopralluoghi nei giorni che seguirono sul punto dell'atterraggio, raccogliendo qua e là campioni vegetali e minerali e scattando foto.
 

<< Mi accorsi che nell'area dove c'era la luce abbagliante l'erba era cresciuta tre volte più alta rispetto a quella circostante.>>
 

A casa egli cercò inutilmente di rendere edotto il cugino della propria straordinaria avventura, ma questi, pur constatando in lui uno stato d'animo effettivamente alquanto atipico, reagì con una risata alla narrazione, insinuando che egli si fosse ubriacato. Riuscì peraltro a trovare pieno ascolto e fiducia da parte della figlia, che egli, allo scopo, raggiunse in California, ove si era trasferita.
Deciso a divulgare la storia del suo contatto, con l'aiuto della congiunta, prese a spedire innumerevoli lettere a tutti gli indirizzi che comparivano sulle riviste americane dedicate agli UFO. Non ricevendo alcuna risposta, rientrò in Italia, del tutto rassegnato all'idea di dover tenere per sé la propria avventura, come avrebbe fatto per parecchi anni a venire.

Ma l'incredibile avventura del Rizzi aveva trovato una curiosissima anticipazione in un episodio avvenuto parecchi anni prima, durante la guerra. Nel 1941/42, il nostro protagonista era di stanza a Rodi, in Grecia, ove prestava servizio come meccanico aeronautico e interprete per l'aeronautica italiana e tedesca all'aeroporto di Gadurra.
Un giorno, su invito di una bambina che andava spesso a trovarlo al campo, si fece condurre in cima ad una montagna, dove dimorava un singolare personaggio, detto il "Santone", un vero e proprio eremita. Come l'uomo si avvide dell'arrivo dell'italiano, alzò la mano destra, in segno di saluto, proprio come avrebbe fatto lo "straniero" dai tratti felini parecchi anni dopo. E alla stessa stregua del misterioso Visitatore, il vecchio prese ad erudire il Rizzi con nozioni "fantastiche" agli occhi di quest'ultimo, parlando di un universo ricco di pianeti abitati, e della possibilità di viaggiare nello spazio con il proprio corpo astrale, superando in tal modo le enormi distanze cosmiche. 

Un singolare accenno fu dedicato dal "Santone" agli abitanti di tali mondi, alcuni dei quali, precisò, sarebbero in possesso di avanzatissime tecnologie date da mezzi di trasporto capaci di viaggiare con la velocità dei fulmini.

"I vostri aerei - affermò - fanno ridere in confronto!" Su richiesta dell'ospite, il vecchio prese a tracciare per terra i profili di quelle macchine, a suo dire così straordinarie. Con spirito di distacco il Rizzi constatò fra sé che quei disegni descrivevano incomprensibili ed inverosimili ordigni circolari, che mai avrebbero potuto levarsi in volo in quanto del tutto privi di ali e di eliche...

Intuito lo scetticismo dell'italiano, il vecchio concluse sorridendo: "Verrà un tempo in cui dovrai ricrederti..." tratteggiando così vagamente in quelle parole ciò che un giorno si sarebbe effettivamente verificato.

La storia di Walter Rizzi è venuta a galla solo di recente, alla fine degli anni '90, ma in Italia è una delle più significative testimonianze di incontri ravvicinati del terzo tipo.

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