Masada: storia, mito, archeologia
Novecentosessanta furono le vittime, comprendendo nel numero anche le donne e i bambini, e la data dell'eccidio fu il quindici del mese di Xanthico.
I romani, che s'aspettavano di dover ancora combattere, verso l'alba si approntarono e, gettate delle passerelle per poter avanzare dai terrapieni, si lanciarono all'attacco. Non vedendo alcun nemico, ma dovunque una paurosa solitudine e poi dentro fiamme e silenzio, non riuscivano a capire che cosa fosse accaduto (...)
Quando furono di fronte alla distesa dei cadaveri, cià che provarono non fu l'esultanza di aver annientato il nemico, ma l'ammirazione per il nobile proposito e per il disprezzo della morte con cui tanta moltitudine l'aveva messa in atto.
Da “Storia in Rete” numero 9-10
Così Giuseppe Flavio descrive l’epilogo dell’assedio di Masada, e la
tragica sorte dei suoi difensori. Masada cadde nella primavera dell’anno
73 d.C. dopo che i romani della Legione X Fretense avevano innalzato
una rampa per colmare il dislivello che faceva della rocca di Masada una
fortezza naturale apparentemente imprendibile.
A Masada si erano
rifugiati gli ebrei ribelli di Eleazar ben Yair dopo aver innescato la
rivolta giudaica a Gerusalemme. E da questa ridotta inespugnabile
avevano continuato la guerriglia per due anni. Fin quando le aquile
imperiali non tornarono su quei luoghi imponendo la pax romana.
I
difensori, di fronte alla prospettiva di cadere nelle mani dei
legionari, soppressero i propri familiari, poi estrassero a sorte dieci
di loro che uccidessero gli uomini, e infine fra questi dieci uno che
desse la morte agli altri nove, e che si sarebbe poi suicidato. Si
salvarono solo due donne e cinque bambini, nascosti per sfuggire al
suicidio collettivo.
Masada è considerata il simbolo di un eroismo sfortunato e dell’afflato
verso la libertà e contro la tirannia (per tali motivi l’UNESCO ha
dichiarato nel 2001 i resti della fortezza di Erode patrimonio
dell’umanità). Oggi i soldati dello Tzahal, le forze armate israeliane,
dopo aver scalato la rocca alta 400 metri vi compiono il loro giuramento
al termine del periodo addestrativo, promettendo a gran voce “mai più
cadrà Masada”.
Una visione oleografica, coi ribelli-buoni e gli imperialisti-cattivi
che però inizia a mostrare la corda: gli studi dell’archeologo
israeliano Nachman Ben-Yehuda ridisegnano ampiamente la vicenda, e
tratteggiano una versione più realistica degli eventi.
“Quando esaminiamo a fondo […] la Grande Rivolta e Masada, semplicemente
non abbiamo alcun ritratto di eroismo. Al contrario. I racconti narrano
la storia di una fatale (e discutibile) rivolta, di un gigantesco
fallimento e della distruzione del Secondo Tempio e di Gerusalemme, di
massacri di ebrei su larga scala, di differenti fazioni di ebrei che
combattevano e si ammazzavano a vicenda, di suicidi collettivi (un atto
non visto con favore dalla fede ebraica) perpetrato da un gruppo di
terroristi e assassini il cui “spirito combattivo” può essere stato
incerto.”
Non usa dunque mezzi termini il professor Nachman Ben-Yehuda,
ordinario dell’Università Ebraica di Gerusalemme nel dipartimento di
Sociologia ed Antropologia. Masada, un mito su cui si è fondato molto
dell’ethos del moderno Israele, deve essere largamente riscritto.
Masada fu meta di un vero e proprio pellegrinaggio archeologico nei
primi anni ’60 del secolo scorso: l’archeologo Yigael Yadin guidò le
ricerche e gli scavi, alla testa di un piccolo esercito di volontari,
mossi dal profondo bisogno psicologico di ritrovare le radici guerriere
di Israele. E queste radici tornarono alla luce: le pietre
dell’altopiano di Masada mostrarono prima chiaramente la pianta della
fortezza erodiana, poi restituirono cocci, monete del periodo della
rivolta, armi, infine anche resti umani. Le tracce dell’assedio poi
divennero chiare quando si identificò la gigantesca rampa edificata dai
legionari per aver ragione della montagna.
Yadin trovò anche undici
“ostraka”, dei cocci usati per le estrazioni a sorte, su cui erano
incisi dei nomi, uno dei quali è “Ben Yair”. Era la prova che la storia
raccontata da Giuseppe Flavio era vera. Yadin non si soffermò
sull’origine dei resti umani. Per lui erano i “difensori di Masada”. Il
governo israeliano, addirittura volle che fossero sepolti con gli onori
militari, come poi avvenne nel 1969. Un’ipotesi, tuttavia, indebolita da
successive ricerche, che proverebbero, al contrario, che i corpi
ritrovati appartenevano a occupanti molto più tardi, di epoca bizantina,
oppure a romani della Legione Fretense o della guarnigione che fu presa
con l’inganno e massacrata dagli uomini di Elazar, un’ipotesi
suffragata anche dal ritrovamento nel 1982 di ossa di maiale, animale
che, com’è noto, è considerato impuro dagli ebrei.
Lo sforzo di Yadin fu più pedagogico e patriottico che non realmente
scientifico: egli sapeva che la sua giovane nazione aveva bisogno di
miti fondanti. Sapeva che Israele era accerchiato e che solo vent’anni
prima la quasi totalità del suo popolo era stata condotta a morte senza
combattere. C’era dunque la profonda necessità spirituale di dimostrare
al mondo (e agli ebrei stessi) che un ebreo sapeva battersi e morire. Un
feroce dibattito dilaniava in quegli anni la nazione ebraica: molti
sopravvissuti all’olocausto provavano vergogna per non essersi opposti
al nazismo e ai pogrom. I coloni sionisti che non avevano conosciuto
direttamente la shoah non riuscivano (e non volevano) capire perché gli
ebrei europei non avessero fatto ovunque come a Varsavia nel 1943,
rivoltandosi contro Hitler, invece di farsi assassinare senza
combattere. Masada era una maniera per trovare sollievo da queste
angosce.
Ma ogni mito presto o tardi deve fare i conti con un revisionismo
scientifico. Studi come quelli di Ben-Yehuda restituiscono una
dimensione realistica al mito di Masada.
E spesso non è nemmeno necessaria una scoperta eclatante per revisionare
la storia passata: leggendo attentamente “La Guerra Giudaica” dello
storico ebreo Giuseppe Flavio si vede come Eleazar ben-Yair fosse un
personaggio che oggi non esiteremo a definire un terrorista
integralista. Zelota massimalista, sicario (i sicari erano una setta
ebraica dedita agli assassinii tramite un pugnale chiamato “sica”, da
cui il nome), fomentò il popolo contro i romani, pretendendo dai
sacerdoti che non accettassero più i sacrifici da parte loro. Un gesto
considerato dallo stesso Giuseppe Flavio empio, poiché sempre al Tempio
di Salomone ogni uomo aveva potuto offrire sacrifici a Dio quale che
fosse la sua religione o razza. E i romani avevano trovato un modus
vivendi con questo “strano popolo che adorava un solo dio”, sacrificando
nel Tempio non all’Imperatore o alla Dea Roma, ma per l’Imperatore e
per Roma, salvando così il monoteismo giudaico e la necessità politica
dei romani di assicurare sempre che i riti sacri fossero ben compiuti:
una preghiera “pro rege et pro patria”, insomma. Eleazar sapeva bene che
i romani avrebbero percepito il rifiuto delle loro offerte come una
insopportabile ed empia offesa, e sarebbe stata la guerra. Ed era ciò
che egli voleva.
Ma la guerra non prese la piega voluta dagli integralisti: in tutto il
Medio Oriente le comunità ebraiche furono trucidate dalle popolazioni
ellenizzate o romanizzate, e gli stessi romani, dopo aver accusato
iniziali rovesci, si riorganizzarono e schiacciarono la rivolta con una
ferocia raccapricciante. Come se non bastasse, le fazioni giudaiche
iniziarono a massacrarsi a vicenda: gli zeloti e in particolare i sicari
praticavano un sistematico terrorismo contro ogni comunità ebraica
“colpevole” di non sufficiente odio verso gli “invasori” romani. Eleazar
stesso, rinchiuso a Masada con un migliaio di sicari, compì la sua
miglior prodezza assaltando il vicino villaggio giudeo di Ein-Gedi
sterminandone la popolazione, donne e bambini compresi. I paralleli con
la situazione contemporanea sono fin troppo evidenti.
La durata dell’assedio invece è stata riscritta dalle prospezioni
archeologiche: la rampa costruita dai romani non sarebbe stata alta 375
piedi (125 metri) come preteso da Giuseppe Flavio, ma molto meno forse
appena una dozzina di metri, poiché la Legione Decima comandata da Lucio
Silva sfruttò uno sperone di roccia calcarea naturale. Un’opera che
assieme al controvallo e al fossato scavato attorno alla fortezza,
secondo l’abituale strategia romana d’assedio, non dovette occupare i
legionari e i loro schiavi per più di un mese. Dunque non anni, ma
settimane, durò la resistenza di Masada ai romani.
Giuseppe Flavio non trova riscontro neppure nella questione del
successivo rogo: secondo lo storico ebreo i difensori di Masada
appiccarono fuoco alla fortezza prima di suicidarsi, ma non ai
magazzini, per dimostrare che non cedevano per fame. Tuttavia i
ritrovamenti archeologici mostrano spessi strati di cenere anche nei
depositi.
E infine: sono stati ritrovati finora solo 28 corpi, dei quali la
maggior parte in caverne alla base della montagna. Gli altri 932
cadaveri dove sono?
(Emanuele Mastrangelo)
Nessun commento:
Posta un commento