domenica 29 settembre 2013

IL NUMERO PARLATO

La Psiconeuroanalisi alla luce della Kabbalah
a cura di Shazarahel
The_Other_Room
opera The Other Room dell’artista Sam Winston

Il Dott. Dore è il fondatore della geniale teoria chiamata Psiconeuroanalisi, la cui applicazione terapeutica permette la graduale guarigione dal morbo di alztailer e da altre demenze cerebrali.
Il cuore di questa nuova teoria, come dimostrato dai risultati clinici ottenuti, è il rapporto mente-cervello; ossia essa si pone come dimostrazione scientifica del fatto che la mente psichica esercita un potere sulla materia cerebrale organica per mezzo della parola.
La Parola è il vettore capace di trasportare il messaggio razionale e logico generato dalla mente alla materia cerebrale e di intervenire sul DNA delle cellule nervose.
Sappiamo già, dalla psicoanalisi freudiana, come il problema psicologico si converta spesso in un sintomo somatico. La patologia psichica - spesso conseguenza di una cattiva interazione fra i due emisferi cerebrali- va ancora più lontanto, in quanto provoca un vero e proprio danno funzionale a diverse aree corticali che è possibile ossevare e quantificare tramite esami appropriati.
La Psiconeuroanalisi interviene sulle patologie psichiche per mezzo dell’uso razionale del linguaggio umano.
La sede fisica del linguaggio si trova nelle aree cerebrali di Broca e di Wernicke dell’emisfero sinistro. L’asimmetria cerebrale, scoperta scientifica relativamente recente, era già conosciuta dai Kabbalisti da tempo immemorabile, che attribuivano a ciascun emisfero proprietà specifiche e differenziate. Negli antichi scritti della Kabbalah ebraica, si parla dell’emisfero sinistro, come della sede dell’intelligenza razionale, Binah, e del linguaggio, e del cervello destro, come sede della sapienza intuitiva, Hokmah. Nella Kabbalah l’equilibrio e l’armonia nascono dall’integrazione di entrambi i cervelli.
Adam Kadmon
In conformità con quanto detto dagli antichi Maestri, la psiconeuroanalisi giunge alla guarigione delle patologie psichiche mediante un riequilibrio delle attività proprie di ciascun emisfero. Ad esempio, la cura per l’isteria, che corrisponde ad un’esasperazione delle funzioni emotive tipiche dell’emisfero destro, consiste nello sviluppo e nel potenziamento delle funzioni razionali e logiche tipiche dell’emisfero sinistro.
Questa operazione avviene mediante l’uso cosciente del linguaggio, inteso come il vettore capace di trasportare il messaggio della mente al cervello.
In questo senso, la Psiconeuroanalisi si pone come un’applicazione terapeutica degli antichi insegnamenti kabbalistici, secondo i quali tutto ciò che esiste è risultato della Parola: i risultati ottenuti sui danni organici alla corteccia cerebrali di diversi pazienti, è una dimostrazione della potenza del linguaggio umano. La parola influisce ed agisce sulla materia del nostro organismo.
Come dice il Dott. Dore, ogni vocabolo aggiunto è un “attivo frammento cosciente del mondo”.

Il trattamento Psiconeuroanalitico prevede anche un importante ampliamento linguistico-lessicale (di solito dieci per ogni incontro, soppesati dal medico ad ogni seduta secondo il loro intrinseco gradiente informativo-semantico, che deve essere sempre giustapposto alle capacità mentali che il paziente presenta, di volta in volta, con il procedere della terapia), afferenti alle più svariate conoscenze naturali e umanistiche, e che a ogni successiva seduta vengono, oltre che interrogati al paziente (il quale è obbligato alla conoscenza sia degli ultimi termini che di tutti i precedenti), anche ripresi e ampliati dal medico secondo il modo innovativo che ha offerto questo nuovo intendimento della realtà.
Altri due pilastri della Psiconeuroanalisi sono in perfetta conformità al pensiero kabbalistico: il rapporto parole-numeri e la legge degli opposti (intesi come destra-sinistra, maschio-femmina).
Il Dott. Dore, in una lezione della quale riportiamo di seguito alcuni estratti, spiega in maniera geniale il rapporto che esiste fra il linguaggio e i numeri, fra le funzioni linguistiche e numeriche, che si collocano entrambe nella corteccia dell’emisfero sinistro.
Questo rapporto venne messo in evidenza dalla Kabbalah ebraica fin dalla notte dei tempi: in effetti la lingua ebraica usa i segni grafici dell’alfabeto sia come “suoni-lettere”, sia come “cifre-numeri”. Una lettera dunque è allo stesso tempo sia suono che numero.
 alfabeto_ebraico
Tutti lo sappiamo ormai, anche leggendo le riviste di divulgazione, che un intero emisfero del cervello è dedicato al linguaggio. Il linguaggio è la sola lingua, quella che si parla, ma è anche tutto ciò che si usa in modo metaliguistico per comunicare. L’emisfero sinistro – ma anche il destro è implicato – lavora perché si possa giungere “all’altro”. Il linguaggio implica collegamento: ciò vuol dire che un nostro emisfero si è specializzato per comunicare con il prossimo. Dietro il linguaggio c’è già l’idea che l’uomo è un essere sociale. Se andiamo a vedere l’estensione di queste aree dedicate al linguaggio, moduli specifici, sono molto vaste. Possiamo dire che coprono letteralmente l’intero emisfero sinistro. Ora nell’emisfero sinistro stesso però ci sono anche le aree deputate ai numeri, e i numeri hanno una doppia valenza: d’avere una morfologia che sembri un segno che è riproducibile nel linguaggio. Perché noi non possiamo definire il numero più grande che esista? Anche per una questione di confini linguistici. Anche se esistesse il numero infinito, nessuno potrebbe leggerlo, perché il linguaggio ha la capacità di significare tale complessità espressa. Ciò significa che fra il linguaggio e i numeri c’è un rapporto: io, mentre conto, parlo, ma mentre parlo faccio atto linguistico e mentre faccio un atto linguistico presento un atto quantitativo.
Vediamo in che modo l’uomo ha sempre vissuto il rapporto tra la quantità e la qualità. Perché dico quantità e qualità? Perché il linguaggio è qualità. Se io dico: “guarda quel lampadario”, non sto dando definizioni specifiche delle quantità in gioco, ma sto definendo un tutt’uno e basta, ovvero la qualità del lampadario. In parole più semplici: gli ho dato un aggettivo e in esso si è chiuso tutto. Se invece usassi lo strumento quantitativo, dovrei misurare il peso, la lunghezza delle sue braccia, addirittura dovremmo misurare l’intesità di luce che emettono le sue lampadine. Inoltre, per parlare del lampadario, ho bisogno prima di identificarlo col linguaggio, poi di misurarlo (numero). Tra i due subentra questo tipo di legame.

Qualità
Quantità


Linguaggio
Numero

Facciamo un altro esempio che rende più chiaro il concetto, e cioé, perché è importante che i due viaggino assieme. Parliamo di un albero. L’albero ha la sua morfologia. Ora, una volta che l’albero è rappresentato, di lui conosco la parola. La parola “albero” ha una sua storia; ho definito l’entità-oggetto in esame completamente, senza bisogno di ulteriori definizioni. E questo nel mondo dei comunicanti è sufficiente per orientarsi nel significato. Però se dell’albero apporto un secondo tipo di rappresentazione, cioè quella quantitativa, posso distinguerlo dagli altri alberi, perché avrà una certa altezza, una certa grossezza di tronco, una certa ricchezza di chioma: tutto questo è quantità. Però notate bene: se non c’è il linguaggio che mi dia il bersaglio “albero”, la matematica non è applicabile. Quindi la matematica è un atto che segue obbligatoriamente il linguaggio, che viene dopo il linguaggio. Il linguaggio identifica il bersaglio, mentre il numero lo raffina ulteriormente; cioè, entra in esso e si sa che i numeri che si stanno dando appartengono a quell’oggetto. Senza il linguaggio, non è applicabile il numero.
Nel nostro cervello sembra che questo sia risaputo da sempre. Voi direte che si è sviluppata di più l’area del linguaggio perché abbiamo più parlato che calcolato. Potremmo dire invece, che la necessità evolutiva era che si formasse molto linguaggio, perché bisognava conquistarsi tutta la realtà con la parola, e poca col numero, perché i numeri fondamentalmente sono pochi da manipolare diventano complessi solo all’interno della “letterazione”. Il poter racchiudere il significato del mondo all’interno del linguaggio, ha preteso una vastità di estensione corticale sufficiente a parlare di tutto, o comunque tutto ciò che noi vogliamo denominare perché abbiamo una grande rappresentazione linguistica. Una volta che sai rappresentarti la cosa linguisticamente, puoi applicare poi l’atto numerico; ma l’atto numerico è in ogni cosa che tu misuri, letteralmente sempre la stessa cosa. È un rituale fisso, invece l’atto linguistico è un rituale elastico, dinamico.
Vedete come fra i due c’è un rapporto di chiave e serratura. La chiave è il linguaggio, la matematica è la serratura (se non ti fa capire l’ingranaggio, a livello analitico, di ciò che però tu hai già bersagliato, già identificato). Di conseguenza, un forte linguaggio, è già un precursore di una forte capacità matematica. Perché se uno ha poco linguaggio, poche cose può rappresentarsi, e praticamente poche cose può conoscere (deduzione logica). Ecco perché noi (impeghiamo) la parola Logos che vuol dire “linguaggio razionale”; è come dire quasi un “linguaggio matematico”.
Una persona straniera che vive in Italia, ad esempio, per contare è costretta sempre a portare i numeri nella sua lingua originale. Ma si tratta di un problema di traduzione, in quanto i numeri sono universali; cioè, al di là della lingua che si parla, la griglia numerica è la medesima; ecco perché l’equazione è uguale per tutti mentre invece una parola scritta in una certa lingua non è uguale per tutti. Ciò non toglie comunque che, una volta che hai identificato con la tua lingua quell’oggetto di natura, puoi utilizzare i numeri. Se la tua lingua non è presente, quell’oggetto di natura tu non puoi misurarlo. E quindi tu hai un vuoto di tipo conoscitivo. Ne va da sé che il linguaggio ha anticipato lo sviluppo dei numeri, non viceversa.
L’analisi permette il passaggio dalla descrizione qualitativa a alla descrizione quantitativa.
Il linguaggio anticipa l’atto del misurare. Il numero misura la parola: una volta che tu lo hai definito con la parola, lo quantifichi, lo misuri. Ma se non sai cos’è l’albero, se tu non hai il concetto di albero, cosa misuri?
Se dunque le aree del cervello sono disposte in quel modo -c’è più linguaggio e meno numero- è un caso o è una necessità? A livello neurologico è una necessità. Ecco spiegato perché siamo fatti così. Quindi la qualità anticipa comunque la quantità. Però il legame è inverso, perché più forte sei nel linguaggio, più possibilità hai di sviluppare una forte quantità; c’è un terreno fertile. Mentre non è vero il contrario. Ora, cosa abbiamo in fin dei conti analizzato senza rendercene conto? La legge degli opposti. Chi è che non sa che l’opposto della quantità è la qualità? Quindi gli opposti vanno uniti insieme per dare un unico effetto.
Abbiamo dovuto spiegare due livelli: il primo è quello cerebrale, perché il cervello è organizzato così. Il secondo è il linguaggio: perché ha questa pregnanza, perché quando anche uno fa calcoli deve per forza parlare? Anche se leggo un numero, lo dico a parole, e se lo dico a parole vuol dire che il numero non si è mai liberato dal segnale, non si è mai liberato dalla qualità. Non è un caso che, nell’Ottocento, c’è stato tutto un filone speciale della matematica, dove alcuni uomini si sono riuniti e hanno detto: dato che la matematica in fin dei conti presenta delle verità logiche, riduciamo tutta la matematica alla logica. Ma fare questo passaggio vuol dire: “riduciamo tutta la matematica al linguaggio”, ovviamente al linguaggio coerente. Nel fare questo, secondo questi logici i numeri -ad esempio il numero 3 e il numero 5- non hanno più una valenza metafisica, come Pitagora pensava, ma sono solamente una questione di insiemi. Se dico 3 -che sono 3 oggetti, che possono essere 3 bottiglie, 3 uomini, 3 donne, 3 cappelli, eccetera- assurgono tutti alla classe del 3. Quindi il 3 esiste perché c’è la classe del 3. E questa è un’interpretazione. Ma, dai discorsi che stiamo facendo noi, sulle matrici del cosmo, i numeri non sono nati così. Anzi sono entità vere che precedono gli insiemi.
Anatomicamente le aree predisposte alla comprensione del linguaggio, la semantica, prima ancora dell’espressione sono anteriori e la matematica sono posteriori, sono anche abbastanza vicine, sono confinanti ma non uguali, perché se voglio conoscere una cosa, la devo indicare: questo è un concetto. Per pesare la devo toccare, e quindi per pesarla devo in fin dei conti manipolarla. Non è un caso che i numeri siano prossimi a dove sono le dita; ciò significa che il numero nasce dal fatto che l’oggetto lo incontra, invece il concetto nasce soltanto perché l’oggetto l’ho visto. Bene? Quindi c’è dalla nascita del concetto qualitativo, un rapporto molto più elastico, tra il mondo che mi stimola i cinque sensi e la mente che elabora la sintesi, il concetto. Mentre la matematica è più un passaggio statico (per) toccare un oggetto. Quindi c’è un senso più specializzato di altri, questo proprio a livello di esperienze originarie (che non ha lasciato traccia) nel nostro cervello, poi sviluppando ovviamente l’astrazione, la materia è stata svincolata dal peso diretto, ma alle origini era così.

Nelle immagini che seguono, vediamo il cervello di un paziente prima e dopo il trattamento psiconeroanalitico: i risultati clinici ottenuti sulla corteccia cerebrale sono evidenti.
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